I Paternò-Castello – Principi di Biscari

La casata e la sua storia

«Senza dubbio, lo specchio più fedele della vita quotidiana e le prove più tangibili dello stato istituzionale, economico e spirituale di una società è fornito dagli archivi familiari e da quelli di individui e imprese private. Questi archivi sono vibranti con la vita concreta [e] significati nascosti» (parlava, così, Saladino).
Se, da un lato, la ricchezza familiare costituisce la prova delle strategie dei singoli membri e di come hanno costruito le loro genealogie, la corrispondenza privata e i diari rappresentano un'istantanea accurata di come le dinastie si legavano alle comunità per sostenere le loro prerogative. Pertanto, l'analisi di tale documentazione è cruciale nella costruzione della storia delle famiglie, ma anche dell'intera comunità e città, che lascia il segno nelle carte di chi le vive.
L'epopea di Paternò-Castello, principi di Biscari, iniziò nella seconda metà del XVI secolo quando l'unione delle famiglie di Paternò e Castello diede origine a una vasta tenuta feudale situata in varie aree della Sicilia.
5° barone di Biscari, fu Orazio Paternò-Castello a gettare le basi per l'alba della sua dinastia, tra alleanze e accordi famigliari. Dopo la sua morte di Orazio, la salvezza del suo impero feudale passò nelle mani di Agatino, col quale la baronia fece un ulteriore salto all’interno della feudalità siciliana: nel 1633, infatti, re Filippo IV di Spagna gli concesse il titolo di "Principe". Agatino Paternò-Castello iniziò, così, un "Cursus Honorum" che avrebbe consolidato la sua posizione nella vita politica della Sicilia mentre si allontana dal noblesse de Robe.
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Morì nel 1675 e il titolo fu ereditato dal figlio Vincenzo. Nello stesso anno, a causa della morte anticipata di questi, il titolò venne ereditato da suo nipote, Ignazio, il terzo principe.
Ignazio mirava ad accrescere ancor di più la sua egemonia; decise, così – e costrinse la sua famiglia – di trasferirsi a Catania, una città chiave per l’instaurazione di quelle relazioni ultra-isolane importanti per i suoi progetti.
Per la Sicilia era un momento di crisi bellica. La rivolta di Messina si era allargata verso Catania, e nel 1677, Vincenzo morì a Fiumefreddo, dove le ultime fasi della guerra erano più cruente. Da quel momento in poi, suo figlio Ignazio dovette gestire l'enorme feudo e il titolo principesco. Catania era tumultuosa, ancora di più a causa delle significative catastrofi naturali.
Ignazio morì nel 1700, sette anni dopo il grande terremoto che distrusse il Vallo di Noto e uccise tre dei suoi nipoti (i figli di suo fratello Francesco Saverio).
Nel XVI secolo, il viceré siciliano e l'intera leadership politica hanno dovuto affrontare e risolvere enormi difficoltà politiche, sociali, finanziarie e militari. Il re di Spagna non si interessava alla Sicilia, lasciando un potere amministrativo nelle mani del potente baronaggio, che era sempre più avidamente intenzionato a conquistare gli obiettivi di potere, e radicato nel preservare i suoi privilegi.
Il tramonto del secolo, quindi, aveva cambiato il destino della Sicilia, portando le monarchie europee a tentare il tutto per tutto per controllare il regno di Napoli e Sicilia, e quello di Catania, dove la classe dominante dovette impiegare tutte le sue forze per la ricostruzione.
L'abnegazione della "ricostruzione" diventa l'obiettivo politico della dinastia Paternò-Castello, specialmente per Ignazio, il quinto principe di Biscari.
Durante la sua governance – dal 1749 alla sua morte nel 1784 –, egli aumentò la forza del suo lignaggio, grazie alle misure politiche che gli permisero di coinvolgere uomini e scienziati di grande reputazione. La sua politica e – soprattutto – la cultura distingue la sua famiglia dalle altre attive a Catania e, nel complesso, in Sicilia.
Alla morte di Ignazio, nel 1786, suo figlio Vincenzo ereditò il titolo (il sesto principe), in un momento in cui le idee filosofiche dell'Illuminismo avevano cambiato il pensiero politico, e presto avrebbero cambiato la struttura ideologica dell'Europa, sotto la spinta dalle filosofie di governo nate con la Rivoluzione Francese. Tuttavia, egli ebbe vita breve; morì nel 1813 in Sicilia, la terra che aveva fornito il rifugio ai sovrani scappati dalla Napoli “napoleonica”.
Il settimo principe, Ignazio, invece, dovette affrontare l'azione disarmante di Ferdinando, che, lasciando l'isola, si affrettò a ripristinare il regno insulare all'unità dello stato borbonico, che la costituzione del 1812 aveva reso indipendente. L'abolizione del feudalesimo venne avvertita presto anche all'interno della famiglia Paternò-Castello: con Ignazio, morendo senza lasciare un testamento, l'eredità venne divisa – a causa dell'abolizione del fidecommesso – tra Roberto, l'ottavo principe (che ricevette la metà del patrimonio), e la sorella Marianna, la quale sposò Pietro Moncada.
Francesco, figlio di Roberto, successe al titolo (era il nono principe di Biscari). Egli si trasferì a Firenze, nel 1847, dove sposò Carlotta Valery e Grigner, con i quali ebbe tre figli: Roberto (decimo principe di Biscari), Maria Lucrezia, che morì da bambina e Maria Lucrezia – che sposò il marchese Pietro Leoni, nel 1886. Iolanda Leoni Paternò Castello sposò Carmelo Moncada, nipote di Marianna Paternò Castello – dei principi di Biscari – e Pietro Moncada. È precisamente Carmelo il responsabile degli ultimi accessi documentali del prestigioso archivio familiare.
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